TESTIMONIANZE
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DAI VOCE ALLA TUA STORIA. È IMPORTANTE. La tua storia ha un valore che non si può misurare. Raccontacela per dare coraggio e speranza a chi pensa di essere solo nella sua battaglia. Insieme siamo più forti. |
LA STORIA DI STEFANIA
Mi chiamo Stefania, era settembre del 2011 quando ha scoperto di stare male. Avevo 29 anni, ero incinta di sei mesi ed avevo già un bambino di due anni e mezzo.
Durante le analisi di routine per la gravidanza, il medico aveva scoperto un linfonodo dietro l’orecchio che cresceva a vista d’occhio e mi consigliò di fare una visita ematologica. Mi disse che c’era un ospedale d’eccellenza a Roma, al centro del Professor Mandelli. Mi prese in cura la dott.ssa Trasarti, un angelo, non ho altre parole per definirla. Si rese subito conto della gravità e mi fece fare immediatamente una biopsia al linfonodo e una risonanza magnetica al torace. Purtroppo, la risposta a Via Benevento fu che avevo un tumore alle ghiandole del sangue. La dottoressa fu molto delicata ma anche ferma. Mi disse: “La situazione è delicata perché aspetti un bambino ma, con altrettanta franchezza, ti dico che la tua possibilità di guarigione è al cento per cento. Vedrai che ce la faremo”. Mi fu diagnosticato un linfoma di Hodgkin e quindi, essendo meno grave degli altri, ho potuto portare avanti per un po’ la gravidanza prendendo solo del cortisone.
Ricordo ancora i pensieri nel guardare i miei figli, Elisa nacque di otto mesi il 23 gennaio 2012 e stava bene. A quel punto ho avuto un crollo psicologico, avevo cercato di essere forte fino a quel momento per lei, anche se paradossalmente ero più preoccupata per Pietro, l’altro mio figlio. Era come se con il mio corpo io riuscissi a proteggere la bambina mentre l’altro lo sentivo più solo, staccato da me che ero malata.
La mia fortuna è stata Emanuela, mia sorella, il mio sostegno sempre presente, durante le prime visite, al momento della diagnosi, all’inizio delle cure. È riuscita a tranquillizzarmi perché sapevo che qualsiasi cosa mi fosse successa, c’era lei che avrebbe preso la decisione giusta. Anche mia madre è stata importante soprattutto perché si è occupata a tempo pieno dei bambini, fatica non indifferente considerando la sua e la loro età. Mio marito, Domenico, è stato assente, non ha voluto rendersi conto della gravità, diceva che era tranquillo perché i medici dicevano che ce l’avrei fatta. Che tipo di analisi e cure ha dovuto fare? Tutto è stato rapidissimo.
A solo una settimana dal parto ho dovuto fare il puntato midollare, 2 giorni dopo una PET TAC a Napoli e dopo un’altra settimana la biopsia ossea. Esami molto dolorosi ma ai quali resistevo pensando che oramai avevo due figli e dovevo combattere per loro. Dopo meno di un mese iniziai la terapia, una chemio ogni 14 giorni. Dopo due cicli feci un controllo e purtroppo il linfoma non era regredito. Decisero quindi di cambiare protocollo e di prepararmi per l’autotrapianto. Iniziai così un tipo di chemioterapia più intensa e, a metà luglio, feci la raccolta delle staminali.
A fine agosto ripetei la PET e risultò tutto negativo. Il mio midollo era completamente pulito. Fu un giorno emozionante. A novembre feci comunque l’autotrapianto per maggior sicurezza e per diminuire il rischio delle recidive. Fui ricoverata per 22 giorni ed è stato terribile, forse il periodo più faticoso da sopportare. Dopo dieci giorni, ci fu la prima buona notizia, i globuli bianchi stavano ricrescendo.
Il mio aspetto era cambiato: dopo le cure ero irriconoscibile, avevo perso tutti i capelli, ero gonfia, avevo occhiaie, mi erano venuti numerosi tic. Io però giravo lo stesso, non ho mai voluto indossare parrucca, ero fiera della mia lotta, non avevo voluto io la malattia, di cosa dovevo vergognarmi? Stavano molto peggio le persone che mi guardavano o criticavano. Oltretutto non ho mai sopportato la pietà, volevo che mi trattassero come una persona normale, con una vita normale. Anche se la sera, guardandomi allo specchio mi rendevo conto di essere malata, ma non volevo essere compatita.
Questa esperienza ha portato tanti cambiamenti nella mia vita, ho cambiato carattere. Prima tendevo a fare una tragedia anche delle stupidaggini, bastava che un esame all’università andasse male e mi disperavo. I primi anni del matrimonio ero maniaca dell’ordine e della pulizia, ora se un’amica mi telefona per andare a prendere un caffè mollo tutto e vado, al disordine c’è tempo, ai rapporti umani no, ora le mie priorità sono altre. Ho deciso anche di separarmi. È stato un momento molto difficile ma questa malattia ha messo la lente di ingrandimento sui rapporti tra me e mio marito. Quando la sua assenza durante le cure si è fatta intollerabile, ho capito che avevo bisogno di altro. È stata dura ma oramai ero abituata alle battaglie!
Allo stesso tempo, ci sono stati degli aspetti positivi in questo percorso, ho conosciuto il mio futuro e attuale compagno, il maestro di judo di mio figlio. Lui è vicino a me e ai bambini con semplicità, siamo felici. È il secondo regalo che ho avuto dalla vita, dopo la guarigione. La vita mi ha tolto tanto ma mi ha restituito tanto. Oggi faccio la volontaria nella piazza del mio paese, il sindaco ha accettato la richiesta che gli ho fatto. È importante lo scambio, i racconti, se vendo 40 stelle sono 40 racconti di storie e 40 pianti, ma la condivisione è salvifica. Vengono i figli con me. ma per ora si rende conto soprattutto il più grande, Pietro, che è un bambino molto sensibile. Gli ho fatto leggere anche la rivista di AIL Roma dove ci sono le foto dei bambini malati che però sorridono sempre. Lui ha capito che bisogna imparare a superare i propri capricci quotidiani perché se loro riescono a sorridere può farlo anche lui. Non ci riesce sempre perché è pur sempre un bambino ma io so che ci pensa ogni tanto. Vado anche ogni tanto a Via Benevento, mi fa piacere rivedere tutti e salutarli. In particolare, la dott.ssa Trasarti si commuove ogni volta che mi vede e chiama mia figlia Elisa la “sua bambina”. È una persona ricca di umanità, come tutto il personale del centro, come tutti i volontari, sono una sintesi di professionalità e bontà, è impossibile staccarsi affettivamente da loro.
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