TESTIMONIANZE
DAI VOCE
ALLA TUA STORIA.
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La tua storia ha un valore che non si può misurare. Raccontacela per dare coraggio e speranza a chi pensa di essere solo nella sua battaglia. Insieme siamo più forti.

MARIA TERESA, VOLONTARIA

Mi chiamo Maria Teresa e ho tre figli. Nella mia vita il volontariato occupa un posto speciale. Io e mio marito ci dedichiamo ad aiutare chi è in difficoltà e chi, come tante persone che conosciamo, ha bisogno di una parola di supporto.

Io sono entrata a far parte di AIL Roma dieci anni fa, e quando mio marito è andato in pensione, si è unito a me. Facciamo volontariato nella struttura ospedaliera e un giorno a settimana mi occupo anche dell’emporio AIL Roma. Andiamo anche nelle piazze e partecipiamo a tutti gli eventi e le iniziative AIL.

La mia storia con l’associazione è cominciata come mamma di un paziente. Avendo vissuto un’esperienza diretta con mio figlio, inizialmente non pensavo di voler fare volontariato, ma poi ho capito che mi sarebbe piaciuto avere un conforto durante il periodo della sua malattia. Così, ho contattato la signora Anna Verdecchia e poi la signora Paola Gallozzi.

Inizialmente ero molto coinvolta emotivamente e psicologicamente, per cui sono stati un po’ titubanti nell’accettarmi. Tuttavia, il medico di mio figlio ha acconsentito perché reputava che avessi un rapporto positivo con la malattia, e che quindi avrei potuto dare qualcosa in più, supportare i malati.

Prima di AIL ho fatto volontariato alla Caritas, un’esperienza molto forte che mi ha aiutata a diventare una volontaria responsabile e a gestire meglio le mie emozioni. Così, quando sono arrivata in AIL, ho scoperto di avere una forte empatia con le persone, che mi ha permesso di dare quell’aiuto che avrei voluto ricevere quando aspettavo mio figlio in ospedale.

Un giorno, proprio quando aspettavo che finisse la terapia, mio figlio mi ha regalato delle cuffiette per ascoltare la musica, dicendomi di non prestare attenzione alle storie degli altri pazienti. Questo mi ha aiutato a mantenere la concentrazione e a non farmi sopraffare dalle emozioni. All’inizio forse la paziente da curare ero più io più che lui, non accettavo molto l’ambiente e avevo molta paura, poi però ho conosciuto una volontaria dell’accoglienza e grazie a lei ho capito che potevo farlo anche io, che quella era la strada giusta.

Come volontaria AIL, sono stata assegnata proprio all’accoglienza. Fare accoglienza significa confortare, aiutare le persone a vedere la realtà in maniera diversa da quella prospettata dalla malattia. All’inizio, ho chiesto di non essere assegnata al reparto pediatrico a causa di un’esperienza che mi aveva segnata, ma ora, dopo tanti anni, so che potrei gestire anche quella situazione.

Il volontariato funziona bene quando ogni singola postazione funziona bene. Il 90% di noi è coinvolto personalmente, e questo ci spinge a dare il massimo supporto, a non la-sciarci vincere dalla sofferenza.

Anche il lavoro nell’emporio è molto coinvolgente e mi arricchisce tanto. È un luogo di incontro, dove ci si può distaccare dall’ambiente ospedaliero, dove si “donano” sorrisi o si scambiano parole di conforto con i parenti dei pazienti. È un’esperienza che porta gioia e serenità, sia a chi dona che a chi riceve.

Il rapporto con AIL è quasi familiare: ci sosteniamo a vicenda nei momenti di necessità, siamo un gruppo con l’obiettivo comune di fare solidarietà. La parola solidarietà ha un significato profondo, e noi siamo consapevoli dell’importanza di ciò che doniamo.

Qualcuno mi ha chiesto se lo facciamo a pagamento, e io rispondo: “Sì, mi pagano con sorrisi e abbracci.”

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