TESTIMONIANZE
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DAI VOCE ALLA TUA STORIA. È IMPORTANTE. La tua storia ha un valore che non si può misurare. Raccontacela per dare coraggio e speranza a chi pensa di essere solo nella sua battaglia. Insieme siamo più forti. |
LIA SASHA PIETRINI, EX PAZIENTE E VOLONTARIA
Sembra strano a dirlo, ma io di quei giorni ho ricordi bellissimi. Sì, la malattia, la paura, i dolori, i fastidi della chemio…tutto vero. Ma se ripenso ai sorrisi dei dottori, alla loro attenzione, al conforto che ho avuto dai volontari, alle lunghe giornate con la mia amica Giorgia, mi viene una lacrima di commozione e di quei momenti drammatici mi resta solo la positività, la forza, il sostegno che mi ha aiutato a guarire.
Sono Lia Sasha Pietrini, ho quasi 32 anni, un compagno – Danilo – un figlio meraviglioso – Ludovico -, un lavoro nell’azienda di famiglia. Ma alle spalle una storia di malattia che arrivò quando ne avevo 14. Ero a scuola, giocavo a pallavolo e mi arrivò una pallonata sul collo e comparse un ematoma. Visita di controllo, una routine, ma venne fuori qualcosa, un nodino che si vedeva sull’ecografia. La diagnosi fu chiara: linfoma di Hodgkin.
Non capivo bene cosa volesse dire e mi ricordo che il primo giorno che entrai nel reparto Pediatrico di Ematologia in via Benevento io, mia mamma e mio papà sembravamo tre zombie rapiti dagli alieni. Non sapevamo cosa fare e tutto intorno c’erano bambini senza capelli anche di tre, quattro anni. Mi si avvicinò una signora con un foulard dell’AIL al collo, elegante e truccata, con smalto e rossetto.
Mi disse che sarebbe andato tutto bene, sorrise a me e rassicurò i miei genitori. Era solo il primo angelo di quel posto unico. Poi vennero i prelievi e la chemioterapia che facevo in day hospital e durante la quale veniva sempre con me la mia migliore amica Giorgia. Io non andavo a scuola e lei con me, io non potevo fare i compiti e lei con me, io a casa per riprendermi e lei con me.
Vorrei ringraziarla per l’amore e l’amicizia che mi ha regalato. Come vorrei oggi ringraziare la dottoressa Giovanna Palumbo
Quando sono rimasta incinta, tanti anni dopo, non chiamavo la mia ginecologa se avevo un dubbio ma loro due. Poi a 16 anni arrivò una recidiva… e fu molto peggio. Faccio una ecografia con il dottor Sergio Mecarocci e mi dà la triste notizia. Ma lui è un grande, se dovessi farmi un’altra ecografia andrei a cercarlo perfino in Australia… La prima chemio non aveva evidentemente distrutto tutte le cellule tumorali e quindi bisognava ricominciare, e poi fare l’autotrapianto.
A 16 anni non sei più bambina e non ancora donna, cominci a guardare i ragazzi, ma io ero inguardabile: brutta, gonfia, senza capelli… e non potevo frequentare la scuola ogni volta che avevo i valori sballati. Ma anche lì avevo un angelo custode: feci la prima chemio della recidiva il 25 febbraio che era il giorno del compleanno di Giorgia e lei era sempre accanto a me.
Sono stata ricoverata per l’autotrapianto il 18 giugno e il 19 è il mio compleanno. Ho fatto il trapianto il 26 giugno che è la festa di mia zia e sono stata dimessa il 5 luglio che è invece il compleanno di mio fratello. Non deve essere un caso.
Faccio sempre i controlli, e a rimanere incinta non ci pensavo proprio. Tra l’altro ricordo un medico che mi elencò tutti i rischi a cui andavo incontro con le terapie della recidiva. Mi disse tante cose ma io ricordavo solo il rischio di rimanere sterile; quindi, non ci avevo proprio mai pensato, né sperato. Una sera a casa leggo per caso un articolo sul giornale di AIL ROMA in cui si raccontava la storia di una ragazza – malata e guarita – che era rimasta poi incinta. Non pensavo minimamente di essere in attesa ma quasi spinta da una forza misteriosa andai in bagno e tirai fuori da un cassetto un vecchio test di gravidanza che avevo comprato mesi prima non so nemmeno perché. Faccio il test e risulta positivo: pensai che non fosse attendibile perché poteva essere scaduto, ma la mattina seguente andai in un laboratorio e feci il prelievo per le Beta-HCg. Le Beta erano alle stelle ed ero davvero incinta.
Oggi cerco di dare una mano ad AIL Roma. Siamo una famiglia anche in questo. Ha cominciato mio padre, poi si è aggiunta mia madre e poi io. Ho coinvolto anche mia zia e mio fratello, la sua ragazza, il mio compagno… Insomma, una vera squadra, che si piazza sotto la Madonnina nella piazza di Castelverde a Roma Est. Abbiamo fatto le Stelle a Natale e adesso saremo lì con le Uova.
AIL ROMA, i volontari, i medici, gli infermieri di via Benevento, sono diventati la mia seconda famiglia e quindi è normale e giusto fare qualcosa per loro. Ed è come se continuassi a fare qualcosa anche per me e per tutti quelli che verranno dopo di me.
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