TESTIMONIANZE
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La tua storia ha un valore che non si può misurare. Raccontacela per dare coraggio e speranza a chi pensa di essere solo nella sua battaglia. Insieme siamo più forti.

LA STORIA DEL DOTTOR CARTONI

Mi chiamo Claudio Cartoni, sono Dirigente Medico Ematologo del Policlinico Umberto I. Sono approdato qui come studente nell’ormai lontano 1984, dopo un viaggio in Messico di due mesi. Fin da subito, sono stato coinvolto nelle attività del professor Mandelli, direttore e “padre” del Centro di Ematologia. E proprio in questo progetto visionario di Mandelli, che è riuscito a trasformare una piccola realtà in un vero proprio ospedale con 400 pazienti e 50 posti letto negli ambulatori, ho mosso i miei primi passi.

In seguito, mi sono specializzato, occupandomi soprattutto di malattie linfoproliferative, ovvero i linfomi. Verso la fine della specializzazione, mi è venuto in mente di focalizzarmi su una metodica diagnostica precisa: l’ecografia, strumento molto semplice ma con un potenziale altissimo, poiché aiuta a studiare il corpo della persona sotto tanti punti di vista. Fino ad allora, non c’era stata un’attenzione di questo tipo su tale metodica e, per questo, lo proposi a Mandelli, che accettò. Le applicazioni più comuni sono lo studio dei linfonodi, spesso compromessi delle malattie del sangue, la valutazione della zona per controllare fegato, milza e tutti gli organi interni, oltre che tutta la diagnostica legata alle problematiche vascolari.

Negli anni ‘93-‘94 mi sono poi molto avvicinato al tema della sofferenza dei pazienti, cioè alla terapia del dolore: mi sono reso conto che si faceva tutto da un punto di vista terapeutico e diagnostico ma c’erano anche altre esigenze, soprattutto in pazienti fragili. E allora, grazie anche ad un’esperienza a Parigi del Professor Mandelli che si era avvicinato alla realtà delle cure palliative, ci siamo dedicati a questo centrale tema: non soltanto garantire le cure del fine vita in fase terminale, ma anche supportare i malati nelle fasi più critiche delle terapie attive facendolo non solo in ospedale, che spesso avrebbe causato loro ulteriore sofferenza, ma anche a casa. E così, nel ’95, ha preso vita il progetto di cure domiciliari che è uno dei servizi attualmente più importanti: un vero e proprio gruppo fatto di medici, infermieri, assistenti sociali e psicologi per assistiti e caregiver che prende il nome di Unità di cure di sopporto e palliative. Un progetto davvero innovativo, inizialmente sostenuto quasi solo dall’AIL e poi, attraverso un importante e faticoso percorso, riconosciuto dal Sistema Sanitario Nazionale con successive convenzioni e accordi tra l’AIL di Roma e l’azienda sanitaria del Policlinico.

Infine, il terzo pilastro della mia attività riguarda il reparto di degenza di cui, insieme alla dottoressa Clara Minotti, sono responsabile, dedicandomi soprattutto ai pazienti con leucemie acute.

Al di là delle singole attività, nel nostro operato è fondamentale garantire un’ampia e attiva offerta di servizi per i pazienti e per le loro famiglie, che non riguardano esclusivamente l’aspetto medico, ma anche assistenziale e di supporto.

Ad esempio, se un paziente viene seguito in ambulatorio, a casa, o è ricoverato in reparto, ha la possibilità di accedere al servizio di psiconcologia. Non si tratta di un servizio di cui tutti vogliono fruire in prima battuta, ma è fondamentale poterlo offrire poiché può essere un bisogno inespresso che emerge proprio nel momento in cui viene offerto. Pensiamo soprattutto a situazioni in cui, da un giorno all’altro, il paziente è costretto a cambiare la sua vita radicalmente: da una banale analisi del sangue al ricovero inaspettato in ematologia. Queste, purtroppo, sono casistiche reali che noi dobbiamo poter sostenere al meglio.

Allo stesso modo, le esigenze del paziente possono essere di altra natura: basti pensare a tutte le problematiche legate al lavoro, alle pratiche di invalidità, o ancora ai problemi di lingua. Grazie ad assistenti sociali, personale specializzato e mediatori linguistici possiamo far fronte a tutte queste evenienze. Proprio di recente abbiamo seguito un ragazzo del Gambia che, purtroppo, non rispondeva ai trattamenti e che, per le sue condizioni critiche, non poteva assolutamente interrompere le cure e tornare dalla sua famiglia. Grazie a questa rete virtuosa creata da AIL Roma, siamo riusciti a far venire qui i suoi familiari, facendo fronte a tutte le pratiche burocratiche e ai costi degli spostamenti. Il giovane, purtroppo, non ce l’ha fatta ma ha potuto avere, fino all’ultimo giorno, la famiglia al suo fianco.

Il tema centrale, dunque, ritengo che sia la complessità dei bisogni del paziente e dei suoi cari e il nostro obiettivo più importante è lavorare affinché sia sempre più facile e armonico soddisfarli. Perché, come diceva il Professor Mandelli, curare è prendersi cura.

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